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“Della ragione critica fece un costume di vita” – di Pier Felice Barchi

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Plinio Verda a 100 anni dalla nascita…  commemorativa del 28.9.2007 a Castelgrande

“Della ragione critica fece un costume di vita”

“Ha pagato la sua coerenza con rinunce consapevoli”


Le mie parole vogliono essere una riflessione sull’attualità del pensiero e dell’azione di chi commemoriamo. Plinio Verda non è stato né un teorico, né un ideologo. Penso che l’ultimo ideologo ticinese di militanza liberale sia stato Brenno Bertoni. Verda è stato un uomo politico che del pensiero illuminista, della ragione critica, del rispetto di una scala laica di valori etici ha fatto un costume di vita. Di vita politica, di vita pubblica. Come tutti avrà commesso degli errori, ma quel che importa è che egli sia stato del tutto coerente e che quella sua coerenza l’abbia pagata con rinunce consapevoli, come quella a una vita agiata. Gli sono grato per quello che mi ha insegnato, anche se non sono sempre stato un buon discepolo. L’anniversario cade in un momento simbolico e critico. Cento anni – una cifra non solo tonda, ma piena – sono un emblema. Perché ho anche detto: “Momento critico”? Per la ragione che oggigiorno figure paragonabili a Verda sono più che rare. Quante volte ho sentito dire da gente del popolo: “Se ci fosse ancora un Plinio Verda”. È il buon senso popolare che collima con le opinioni delle persone sedicenti o ritenute dotte. È proprio quel buon senso che conferisce autorevolezza a quei pareri.

L’edizione del 27 aprile 1983

La sua attualità sta nel fatto che siamo ripetutamente confrontati con esternazioni di gente che conta, che calpestano i valori etico- politici. Potrei ricordare più episodi. Mi limito a menzionare la grande indifferenza che ha circondato le vicende del Football Club e dell’Hockey Club di Lugano.

Totale insensibilità verso la pubblica moralità. Stupefacenti sono state le dichiarazioni dell’allora direttore di una delle più importanti aziende cantonali, che ha voluto giustificare i reati fiscali e in materia di previdenze sociali semplicemente con il fatto che una società sportiva fa del bene alla nostra gioventù. Un altro caso di giustificazione a buon mercato: quello di un quotidiano presso la cui sede con un apparecchio informatico, che faceva un baccano tale da attirare la curiosità delle intere maestranze, si sono falsificate le statistiche dei giornali distribuiti. Qui la scusa è stata quella di salvare posti di lavoro.Non si pensi che quelle derive concernano soltanto determinate correnti politiche. No affatto. Sono trasversali a tutti i partiti politici ed è per questo che oggi vi è un tremendo appiattimento dei valori civici. Si torna a posizioni pre-illuministe del tipo di quelle “il fine giustifica i mezzi”. Ci fosse almeno un fine riferito a una dottrina trascendentale, religiosa. No. Il fine è semplicemente l’arricchimento, il conseguimento di beni materiali sempre più abbondanti. Ma quello che preoccupa soprattutto non è tanto il fatto che persone di spicco manifestino un dispregio nei confronti dei valori civici. Esse ci sono sempre state. I pescicani non sono un’apparizione esclusiva del presente periodo di sfrenato capitalismo – worldwide per usare un termine inglese – che trova troppo timide resistenze da parte sia dei movimenti politici liberal, sia della chiesa cattolica. Quello che preoccupa è che oggi vi sono delle vere e proprie classi sociali che plaudono a questo spirito di indifferenza rispetto a valori etico-politici. Gente che, commentando i casi qui citati – ed altri simili -, ebbe a fare un lapidario commento: “Hanno fatto benissimo, voi che criticate non capite che siete dei moralisti scaduti, demodés?”.

Per non parlare di quanto succede a livello svizzero. Vi sono addirittura dei giuristi pronti a sostenere l’espulsione di stranieri nati da noi, solo per aver commesso infrazioni a norme amministrative in materia di previdenze sociali. Le stesse contravvenzioni che nel caso citato dei club sportivi ebbero a suscitare – da noi – larga solidarietà. I tempi sono bui. Ricordo che nel 1933, quando in Francia i movimenti fascistoidi erano influenti, a Marc Chagall fu negata la cittadinanza francese, perché considerato un artista degenerato. Lo stesso avvenne a Berna a fronte della domanda di naturalizzazione di Paul Klee. A Marc Chagall, che a Vitebsk era stato commissario per le arti figurative, André Malraux – in pieno gollismo – diede l’incarico di dipingere la volta dell’Opera di Parigi. Ricordo che Plinio Verda nel 1944 ebbe a criticare apertamente le direttive di Berna – fortunatamente non seguite supinamente dai nostri agenti di polizia – di respingere persone destinate all’olocausto. Ricevette anche qualche bacchettata dal Dipartimento federale di giustizia e polizia. Così mi raccontò.

Prima di terminare voglio togliere un possibile malinteso. Né Plinio Verda, né chi lo commemora pensa o ha mai pensato che abbiamo la vocazione di creare l’uomo nuovo. Questa è stata l’illusione di una parte degli illuministi e poi soprattutto dei marxisti. Non spetta in nessun caso allo Stato darsi delle strutture finalizzate a trasformare uomini e donne, in modo che abbiano soltanto virtù private e pubbliche. Lo Stato deve limitarsi a creare quelle condizioni quadro che permettano all’uomo di crescere con pari opportunità di partenza e in un ambiente di tolleranza. Chi vuol lottare perché ci siano quelle condizioni dev’essere libero da condizionamenti. Sergio Salvioni, che ha commemorato Plinio Verda (vedi da pagina 2 ndr), non ha mai fatto parte di un consiglio d’amministrazione privato. Ferruccio Bolla, quando la Linoleum di Giubiasco negò allocazioni sociali a operai licenziati da un giorno all’altro, diede le dimissioni dalla presidenza. Quando, alla fine degli anni ’60, la Saceba voleva imporre il cemento nella pavimentazione di strade cantonali, essa formò un consiglio d’amministrazione, di cui fecero parte uomini di tutti i partiti, compreso quello socialista. In Gran Consiglio vi furono degli indecorosi interventi a sostegno del cemento. Verda ne prese nettamente le distanze. Parlo del passato per dirvi che nessuno si illude che esso sia stato un’epoca d’oro. La differenza sta nel fatto che i fatti della Saceba erano un’eccezione, per altro criticata, senza che i media fossero imputati di scandalismo. Oggi stanno diventando la regola.

Ora termino veramente. Mi consentirete qualche piccola stravaganza. Ho indossato un completo tipico austriaco, perché con Verda e con Salvioni ho in comune il fatto di aver, come loro studiato anche a Vienna. Non ho per altro mai nascosto il mio spirito mitteleuropeo. Il mio commediografo preferito è Arthur Schnitzer e il mio autore prediletto è Robert Musil. Schnitzer, ebreo, cresciuto a Vienna. Musil, moravo formatosi a Vienna. Il Musil dell’indimenticabile “Uomo senza qualità”, che quando emigrò a Ginevra ebbe a dire “Non sono né ebreo, né un perseguitato, ho lasciato Vienna perché tutti i miei lettori son dovuti espatriare”. Quando Verda seppe che ero stato all’Università di Vienna mi ricordò i suoi tempi con una sua tipica battuta: “Nel 1931 per avere una ragazza bastava un Gurken” – se non lo sapete il Gurken è quel cetriolone in acqua salata che si gusta nei chioschi della Kärtnertrasse quando si esce da teatro. Un incallito economista direbbe “paragonando il Gurken di Verda al mondo d’oggi, l’inflazione è stata veramente tremenda”.

Pier Felice Barchi   (La Regione, 29.09.2007)


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“Istantanea su Plinio Verda ” – di Sergio Salvioni

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Plinio Verda a 100 anni dalla nascita…  commemorativa del 28.9.2007 a Castelgrande


INTRODUZIONE

Di Plinio Verda, delle sue qualità e dei i suoi meriti, è stato già detto l’essenziale nella triste occasione della sua scomparsa e, poi, in diverse successive ricorrenze. Ne hanno parlato e scritto, per citare non proprio ordinatamente, Argante Righetti, Pier Felice Barchi, Libero Olgiati, Giuseppe Buffi, Massimo Pini, Gastone Luvini Carlo Speziali, Pino Bernasconi, e probabilmente avrò dimenticato altri importanti interventi. Ebbe anche riconoscimenti da parte dei giornali avversari che tanto temevano la sua penna fulminante.

Ricordare Verda a 24 anni dalla sua morte è in qualche modo una riflessione affrancata dalla comprensibile – e in certo senso doverosa – commozione del momento. Voglio dire che cercherò, questa sera, di parlarvi in modo “spassionato” di quale è stata la funzione e l’importanza di Plinio Verda per il Partito Liberale Radicale e di conseguenza per il Cantone tutto.

SCISSIONE

L’appuntamento con la storia Plinio Verda l’ebbe nel 1946. Ma, per capirlo, occorre tornare indietro, fino alla vigilia della scissione tra liberali e democratici, avvenuta nel 1934. A quell’epoca Verda, che aveva appena terminato il periodo di pratica presso lo studio dell’avvocato Arnaldo Bolla, fu nominato segretario ad interim del Partito Liberale Radicale di cui era Presidente lo stesso Bolla. Aveva anche iniziato la sua esperienza giornalistica accanto all’allora Direttore del Dovere Carlo Maggini. Gli anni che precedettero il 1934 e fino alla scissione furono anni di liti, discussioni aspre tra quelle che apparivano le due tendenze all’interno del partito. Non bisogna dimenticare che lo stesso Presidente Bolla e molti altri esponenti del partito avevano simpatie più o meno palesi verso il fascismo o verso Mussolini, mentre uomini come Libero Olgiati, G. B. Rusca, Giulio Guglielmetti, Alberto De Filippis e altri invece manifestavano, chi più chi meno, avversione nei confronti del fascismo e simpatia per i movimenti socialisti in genere. Nel 1934 queste contrapposizioni sfociarono nella scissione e quale leader dell’ala democratica staccatasi dal PLR fu nominato Libero Olgiati.

LEALTA E UOMO D’ORDINE

Tenuto conto del profilo politico di Plinio Verda (ancora studente, organizzò una vivace protesta nel liceo di Lugano contro il Direttore Francesco Chiesa che aveva contribuito ad impedire una conferenza di Gaetano Salvemini in Ticino), mi sono posto il problema di capire come mai egli restò fedele al vecchio troncone del PLR. Per spiegare questa evidente “anomalia”, credo si debbano tenere presenti due qualità di Verda. Per un verso, egli era una persona di grande lealtà e, di conseguenza non si sentiva di tradire la fiducia che in lui aveva riposto il presidente Bolla, “tradendo” il PLR per associarsi agli scissionisti.

Per altro verso, Verda era un uomo d’ordine, che riteneva doveroso tener ben distinti uomini e istituzioni. Queste sue qualità sono risaltate in modo evidente nella sua attività giornalistica e politica nei decenni successivi Mi piace ricordare che durante i 40 anni costellati da polemiche anche molto dure, egli ha sempre criticato determinati uomini per certi fatti precisi, ma mai le istituzioni: quando parlava dei “burosauri” di Berna parlava dei funzionari che avevano adottato delle decisioni a suo giudizio sbagliate ma non criticava il fatto che nelle nostre istituzioni dovessero esistere dei funzionari con determinate competenze. A lui, ad esempio, non è mai successo – come purtroppo oggi vediamo succedere spesso in Ticino e in Italia – di criticare l’istituzione della magistratura qualificata come composta di somari, o il Consiglio federale come una accolita di deficienti (gli esempi potrebbero purtroppo continuare).

E’ a mio giudizio una differenza di fondamentale importanza perché demolire le istituzioni significa demolire lo Stato e avviarsi a grandi passi verso il disordine e l’anarchia che non fanno bene a un ordinamento democratico come Verda, amante della storia e delle istituzioni svizzere sapeva bene.

Ricordo che un parlamentare federale di lungo corso, liberale vodese, Claude Bonnard, mi diceva che la politica può essere paragonata al lavoro di un orologiaio, che deve operare su meccanismi complessi, con pazienza e meticolosità: questi movimenti di tipo populista vorrebbero risolvere i problemi con un colpo di martello, sfasciando il meccanismo senza alternative serie.

OPERA DI RICONCILIAZIONE

Fortunatamente Verda, rimasto segretario del PLR, era nella migliore posizione per favorire un riavvicinamento dei due tronconi. Il fatto che qualche anno prima egli sia stato sconfitto da Libero Olgiati nella elezione a Pretore di Bellinzona non gli ha per nulla offuscato i sentimenti verso Libero e nemmeno verso i democratici. Finalmente nel 1946 i tempi furono maturi per risanare la frattura e si giunse all’insediamento di una Commissione-ponte composta da Brenno Galli e Nello Celio (presidenti), Plinio Verda e Libero Olgiati (segretari), G. B. Rusca, G. Guglielmetti, A. Guidini, E. Pedrolini, P. Tatti e G. Merlini (membri). La Commissione doveva funzionare quale esecutivo politico nella fase di trapasso. Trapasso che fu, sulla base di un programma elaborato dai segretari, approvato il 15 giugno 1946 dai due Comitati cantonali per essere poi accettato per acclamazione il 7 luglio 1946 dal Congresso a Bellinzona.

In questa fase l’attività di Verda fu sicuramente fondamentale: se si leggono gli articoli firmati da Libero Olgiati, pubblicati su Avanguardia dal 1945 al 1946, e si confrontano con il programma del partito riunificato, si potrà constatare che erano stati mantenuti gli obiettivi di un programma di trasformazione democratica e progressista, con profonde riforme economico-sociali, ma furono eliminate le tesi più estreme sostenute da Olgiati durante le accese polemiche precedenti. Come ha scritto Pompeo Macaluso nella Storia del Partito Liberale Radicale Democratico Ticinese,

“Solo la fermezza di Verda e Pini affinché, “badando alla sostanza” la scelta di “Galli (diventasse) il suggello della fusione”, e soprattutto il peso determinante di Celio, secondo cui “la via seguita non (aveva) ritorno e la fusione (era) l’unico obiettivo ragionevole”, impedirono agli ancora numerosi scettici di prevalere.”

Che l’impianto del programma sia il frutto di una serie di compromessi è evidente: tuttavia nei 13 punti quali principi ispiratori rimanevano: “democrazia, laicità, giustizia politica economica e sociale”.

La fusione mi ricorda il verso di Orazio: “Graecia capta ferum victorem cepit”: ossia, il bellicoso vincitore fu soggiogato dal vinto dopo la sua cattura. Infatti il partito, uscito dalla fusione, si era in sostanza riproposto come programma gli obiettivi dell’ala democratica: ciò fu sicuramente facilitato dalla caduta del fascismo che ammutolì i suoi simpatizzanti locali e la scomparsa di Fulvio Bolla che era il più intelligente oppositore al nuovo corso, nonché dell’opera di moderazione di Verda. Egli si è quindi trovato a un crocevia nella storia del PLR e quindi del Cantone Ticino: assieme a Olgiati e agli amici della sua generazione non si è lasciato sfuggire l’occasione, perchè certi treni passano solo una volta nella vita degli uomini.

ATTIVITÀ DEL PARTITO RICONGIUNTO

Riuniti i due tronconi, il partito nuovo dovette affrontare subito una difficile prova: pochi mesi dopo la fusione il partito si presentò all’elettorato ticinese per la nomina del Consiglio di Stato e del Gran Consiglio con grande coraggio ma con l’incognita di un nuovo programma e nuovi dirigenti. L’opposizione, specialmente di parte conservatrice, fu fortissima: L’esito fu pubblicato sul Dovere del 10 febbraio 1947 con un titolo che faceva parte delle alchimie di Verda: “16728: il morto che parla”. Si è trattato di un evento politico di grande rilievo ottenuto dopo che il partito aveva proposto un rinnovamento compatto rispetto alla situazione precedente. Alla prima riunione del Consiglio di Stato Brenno Galli, in applicazione del programma, otteneva a maggioranza (con il voto di Guglielmo Canevascini, quale anticipo della conclusione dell’alleanza di sinistra) la Direzione della pubblica educazione e delle finanze. Il partito conservatore, in particolare il Consigliere di Stato Giuseppe Lepori, si scatenò in una campagna durissima affermando che il PLR voleva violare il sentimento religioso dei ticinesi, che si trattava di una decisione di stampo comunista ecc..

Verda tenne ferma la barra del timone rispondendo con articoli e corsivi (le “istantanee”, successivamente diventate famose), che spesso dovevano essere continuati nelle pagine interne, rintuzzando le accuse e gli insidiosi sospetti sollevati dal partito conservatore. In questa campagna G. Lepori, come arma polemica scorretta, riesumò un episodio che concerneva il periodo studentesco di Verda e dal quale era stato comunque prosciolto non solo dalle Autorità di Polizia ma anche e soprattutto dal decanato di Diritto dell’Università di Berna e da tutti i professori: infatti, dopo questo episodio (rotture delle vetrine di un negozio in una sera dopo abbondanti libagioni), in un anno e mezzo presentò la tesi di laurea, e superò brillantemente gli esami. Nonostante questo attacco palesemente sotto la cintura, Verda continuò imperterrito nella difesa dell’azione politica del PLR. In questa sua attività eccelsero il suo stile, la sua lingua e le sue invenzioni che lo resero celebre in tutto il Cantone. Giuseppe Biscossa, in un suo commento, ha così felicemente riassunto lo stile di Verda: “Ha il gusto della finale battuta plebea demolitrice e il piacere scientifico della documentazione”.

METODO DI LAVORO

E’ vero che Verda prima di scrivere le sue istantanee si documentava meticolosamente, e quindi raramente i suoi contraddittori erano in grado di smentirlo. Aveva nel suo studio, pieno di classatori e ritagli di giornale, un fascicolo intitolato “Per conoscerli meglio”. In questo fascicolo inseriva tutte le dichiarazioni, articoli e pubblicazioni di uomini politici per poi, se in una certa occasione avessero dichiarato il contrario, prenderli in castagna. Tuttavia, quella che lui chiamava il “due di coppe”, cioè la briscola, non la sfoderava all’inizio ma la teneva e la giocava dopo che l’avversario si era invischiato in una serie di contraddizioni. Quello che Biscossa ha dimenticato di ricordare nella sua, peraltro corretta definizione, è il fatto che Verda non si è mai contraddetto, dimostrando una incredibile coerenza durante 35 anni, ed è sempre stato in grado di dimostrare la verità o almeno la sua buonafede.

Ciò gli risultava d’altronde anche facilitato dal fatto che nella sua vita privata egli, per restare indipendente, aveva sistematicamente rifiutato incarichi anche finanziariamente interessanti che gli erano stati prospettati da grosse ditte che si illudevano, in caso di una sua accettazione, di poterlo addomesticare. In un paese in cui purtroppo spesso la politica va di pari passo con la scalata sociale e con la corsa ai Consigli di Amministrazione, si tratta certamente di un caso raro. Questa sua scelta è stata il prezzo che ha pagato per restare intransigente, per criticare tutto quanto puzzava di interesse privato in cose pubbliche. Le quotidiane “istantanee”, riproponevano l’esigenza di chiarezza e di pulizia negli affari pubblici e rappresentavano un monito costante sia per gli aderenti al PLR, sia per gli uomini politici in generale; la sua presenza nella Commissione della Gestione del Gran Consiglio gli permetteva di essere informato sulle decisioni del Consiglio di Stato e la sua riconosciuta competenza in materia di finanze pubbliche e di bilanci ne faceva un censore irriducibile, già in quella sede, di proposte o di messaggi che scricchiolavano. Se nonostante le sue critiche, a maggioranza, le proposte trovavano accoglienza, egli si riservava di esprimere il suo dissenso sulla stampa, anche quando fossero stati in gioco interessi personali di liberali.

IMPORTANZA E VALENZA POLITICA DEL SUO OPERATO

Questa presenza, durata quasi 40 anni, ha plasmato la mentalità di gran parte degli aderenti al partito ribadendo costantemente l’importanza di una gestione corretta dei pubblici affari ed ha, a mio giudizio, assicurato per lo stesso periodo un’adesione compatta al PLR in occasione dei diversi confronti elettorali; un indizio potrebbe essere dato anche dall’aumento della tiratura del Dovere nel periodo 1950-1980.

Alcune generazioni di liberali, tra le quali la mia, sono cresciuti con questa visione della politica ed hanno ancora oggi grosse difficoltà di accettare che l’etica (parola che Verda non ha mai citato, ma che ha praticato con la sua azione) sia oggi diventata un “optional”, che l’uomo pubblico possa concedersi comportamenti illeciti o discutibili mantenendo le sue funzioni, con l’appoggio del partito, che questo necessario rigore sia comodamente liquidato come “moralismo”: questa è, a mio giudizio,una delle ragioni dell’attuale disaffezione e sfiducia della gente nei confronti della politica.

SOSTEGNO AL PROGRAMMA

Non si può inoltre dimenticare l’importanza dei suoi interventi a sostegno degli importanti punti del nuovo programma politico.

Mi limito a menzionare le sue battaglie per la nuova Legge tributaria del 1950 che sostituiva l’antiquato ordinamento del 1907 (mi chiedo se oggi sarebbe accettata), contro i pedaggi alle gallerie stradali alpine, per la galleria autostradale del San Gottardo, per la difesa dello Stato laico e contro l’intromissione delle confessioni nella scuola pubblica, le sue battaglie vinte clamorosamente nel 1957 contro l’avventura dello “stato bagnino” e a favore del riscatto della Biaschina e per la costituzione dell’Azienda Elettrica Ticinese, perché i bagni termali non sono un servizio pubblico, mentre lo è la produzione e distribuzione di energia elettrica.

Ha fallito solo nell’appoggio alla Legge urbanistica che fu presentata con il peccato originale di un cappello ideologico inutile dal profilo della legge e nocivo per l’accettazione popolare. Verda si era chiaramente opposto all’aggiunta di questa premessa, voluta dai rappresentanti della nuova corrente rampante di socialisti: perché era idonea a dar ragione a quella frangia di liberali che sostenevano – a torto – che l’alleanza di sinistra aveva un carattere ideologico, mentre, dall’inizio, era stata voluta semplicemente come un accordo operativo allo scopo di raggiungere gli obiettivi del programma, come poi avvenne.

E’ oggi impossibile citare tutte le numerose polemiche, sfociate nelle oramai celebri “Istantanee” alcune anche gustose e divertenti, perché il Dovere non è stato ancora digitalizzato: spero che ciò possa avvenire prossimamente e che sia a quel momento possibile di fare una pubblicazione che riprenda almeno le più interessanti. Personalmente ne ricordo parecchie, altre mi sono state ricordate dall’amico Pier Felice Barchi, ma ci è difficile situarle nel tempo, e la ricerca diventa quasi impossibile, su circa 10’000 pagine da esaminare nel periodo 1935-1980.

Ma Verda non ha “mangiato” solo pane e politica: la sua “verve” letteraria faceva capolino non appena si presentava un’occasione: ricordo una serie di quadretti pubblicati sul Dovere in occasione del suo viaggio in Oriente con il volo inaugurale della Swissair Zurigo-Pechino. Siccome sono goloso di natura, come lo erano Olgiati e Verda e altri mi è rimasta impresso nella memoria la descrizione di un maialino allo spiedo con erbe aromatiche e miele che gustò a Bangkok…

RICORDO PERSONALE

Siccome io al Dovere e alla tipografia ero, per così dire, di casa, Verda faceva parte delle persone che vedevo e incontravo già da ragazzo; l’ho conosciuto nella sua veste di segretario del partito solo dopo che sono tornato dall’università. Entrambi nel primo incontro eravamo imbarazzati, perchè il rapporto tra editore e direttore del giornale non sono facili: e io per lui ero il figlio dell’editore. Questo imbarazzo tuttavia cessò dopo alcuni contatti di natura politica.

Verda viveva la politica e l’attività di giornalista come passione e come privilegio. Credo che avrebbe continuato a scrivere anche se fosse stato licenziato: il suo ufficio era colmo di giornali affastellati in un, oggi si direbbe con un ossimoro, “caos organizzato” dove egli trovava con facilità i documenti che gli interessavano: Nel suo ufficio specialmente di sera entravano trafelati senza bussare, i linotipisti (il celebre “Marzietto” Brenna, Walter Valsangiacomo, che mi ricordo) per farsi consegnare i foglietti sui quali Plinio Verda scriveva di getto gli articoli, con grafia rapida, lineare, che solo loro erano in grado di decifrare senza esitazioni. Durante il giorno, con più calma, ti ascoltava e esprimeva le sue considerazioni, sempre azzeccate: aveva una maschera di finto burbero, ma la sua onestà intellettuale non riusciva a nascondere i suoi sentimenti: capace di scherzare su cose molte serie, con un piacere goliardico, denotando spesso una giocosa venatura di spirito anarchico.

Ricordo, dopo che con Righetti avevamo scritto due articoli abbastanza pesanti per criticare l’inattività del Consiglio di Stato (e specie dei due consiglieri liberali) sul problema del riscatto della Biaschina, una sera al Grotto La Rocca (che era a quell’epoca il mitico cenacolo liberale) che Olgiati diede sfogo alla sua rabbia criticandoci duramente. Alla fine della rampogna, Olgiati si rivolse a Verda e gli chiese “e tu cosa ne pensi?” Verda con calma rispose “avrei voluto scriverli io quegli articoli”. Dopo questa risposta Olgiati si calmò e iniziò a ragionare. Mi colpì l’ascendente che Verda aveva su Olgiati: anche se le questioni politiche importanti erano discusse tra loro due, in quella occasione non avevano avuto la possibilità di parlarne e l’opinione sanguigna di Olgiati si era corretta di fronte all’opinione politica più meditata di Verda. Durante i 35 anni di attività quale Direttore del Dovere e polemista credo si possa dire che i risultati politici elettorali del PLR sono da ascrivere in larga parte all’attività di Verda, quale moderatore del dinamismo di Olgiati: un binomio sicuramente di grande efficacia.

FILOSOFIA DI VERDA

Verda aveva saputo tracciare un metodo di pensiero, aveva instillato nell’animo dei suoi lettori il desiderio della libertà, dell’onestà, dell’indipendenza. Forse qualcuno ricorda ancora la figura dei “greppianti” da lui coniata, cioè di coloro che vivono alle spalle dell’Ente pubblico senza nulla dare – per non citare la lunga serie di altre figure da lui rese celebri.

Citava volentieri Trilussa, poeta romanesco popolare: quando gli capitava di usare un linguaggio sopra le righe gli succedeva a volte) si giustificava dicendo “quanno cè vô cè vô”. Tra le varie poesie di Trilussa mi piace pensare a Verda leggendo “All’ombra”

Mentre me leggo er solito giornale spaparacchiato all’ombra d’un pajaro, vedo un porco e je dico: – Addio, majale! – vedo un ciucco e je dico: – Addio, somaro! – Forse ‘ste bestie non me capiranno, ma provo armeno la soddisfazzione de potè dí’ le cose come stanno senza paura de finì in priggione.

Lui, la paura di finire in prigione per le sue polemiche, non l’ha mai avuta.

RISULTATI ECONOMICI DELL’ALLEANZA

Sul ventennio dell’alleanza liberal-socialista più tardi alcuni economisti hanno ritenuto di rilevare che dal profilo economico l’attività non sia stata molto proficua: in particolare Angelo Rossi e Martino Rossi hanno sostenuto che l’economia ticinese è rimasta un’economia a rimorchio come nelle colonie. Martino Rossi ha rilevato che il reddito reale cantonale dal 50-80 passò da 100 a 303, mentre le spese cantonali salirono da 100 a 580. Queste considerazioni sono riprese ne Il Ticino politico contemporaneo 1921-1975 di Roberto Bianchi.

A mio giudizio queste considerazioni inesatte. Se il Ticino è dipeso, dal profilo industriale, da investitori della Svizzera interna ciò certamente non è da attribuire a un fallimento della politica dell’alleanza di sinistra, ma all’assenza di investitori ticinesi pronti a rischiare nel settore industriale, fenomeno tipico della finanza ticinese anche negli anni successivi. Già nel 1920 un gruppo nominato di “rinnovamento economico” (GRE) si era proposto di assumere iniziative politiche private ma, come rileva Bianchi, avevano la fama di essere “borsoni luganesi”. Lo stesso “Corriere” aveva affermato che sarebbe stata necessaria una borghesia più decisa e meno irretita dai partiti per fare del GRE, se non un nuovo partito, almeno un efficace strumento per richiamare all’ordine i due schieramenti storici (allora partito conservatore e partito socialista). Comunque, nonostante l’appoggio del Corriere il GRE non fece presa nell’elettorato ticinese.

Mi sembra che i due economisti e gli storici dimenticano quale era lo stato nell’economia ticinese agli inizi degli anni ’50 e quale era la condizione dell’economia ticinese alla fine del ventennio, e per questo la loro critica mi pare leggermente tendenziosa: è vero che un diverso tipo di economia, meno dipendente dal resto della Svizzera, sarebbe stato più favorevole al Ticino: ma la scelta degli investimenti è effettuata da chi porta i mezzi e, nel Ticino, nessuno aveva voluto farlo. Chi ha vissuto quel periodo non può non costatare che le condizioni di vita della popolazione è da allora cambiata radicalmente: nel 1950 il paese; usciva da un periodo di povertà, per non dire miseria, aggravato dalle conseguenze della guerra che lo aveva paralizzato. Fu necessario investire somme enormi per le infrastrutture, essenziali per ogni rilancio economico: sistemare le vie di traffico stradale e ferroviario, avviare la costruzione degli impianti idrici, riattivare l’edilizia scolastica, ammodernare gli ospedali, far fronte alle esigenze nel settore della salute pubblica ecc.. D’altronde proprio la rilevazione di M. Rossi (e cioè che a fronte a un aumento di reddito reale da 100 a 300 la spesa reale è passata da 100 a 580 nel periodo 1950-1980).avvalora la mia tesi di uno sforzo immane per colmare i ritardi accumulati nei periodi precedenti.

Forse è opportuno sottolineare che gli obiettivi che il PLR si era prefissato di raggiungere con il programma del 1946 sono stati tutti raggiunti, cosa non usuale per un partito politico. Questi traguardi hanno permesso al Cantone lo sviluppo successivo che ci ha mantenuti al livello dei rimanenti Cantoni confederati. Tutto sommato credo che non si possa contestare che l’alleanza di sinistra è stata per il Cantone provvida. Essa si è dissolta non per un consuntivo fallimentare, ma a seguito delle beghe dovute alle aspirazioni della nuova generazione rampante del socialismo e alla debolezza dei rappresentanti succeduti a Canevascini. Il PLRT è stato un elemento indispensabile garantendo la stabilità politica necessaria per gli investimenti miliardari effettuati nei vari settori vitali. Chi, dall’interno o dall’esterno, per futili motivi personali, rischia di mettere in pericolo il PLRT senza una credibile e seria alternativa, minaccia la solidità delle istituzioni, danneggia il paese e pregiudica ul suo futuro.

CONCLUSIONE

Al di là della politica, Plinio Verda si è imposto per l’onestà intellettuale, il rigore morale e la correttezza da tutti riconosciuta: il suo anelito per la libertà che lo ha portato nell’agone politico, si era manifestato anche nel suo amore per le montagne che lo aveva visto alpinista e fondatore dell’Unione ticinese operai escursionisti (UTOE), nonché pilota di aviazione. L’ebbrezza del volo soddisfaceva il suo desiderio di indipendenza e di libertà.

Fuori dai consueti omaggi di circostanza, credo di poter dire, con convinzione, che una società ha bisogno di uomini come Plinio Verda, uomini che invece di servirsi del Partito, lo servono senza pretese. A noi il dovere di esprimere la nostra riconoscenza.

Sergio Salvioni   (La Regione, 29.09.2007)


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“Plinio Verda a 100 anni dalla nascita…”  – saluto di Carlo Pedrolini

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Plinio Verda a 100 anni dalla nascita…  commemorativa del 28.9.2007 a Castelgrande


Onorevoli Autorità, Gentili signore, egregi signori, Care amiche, cari amici,

100 anni fa, il 2 settembre 1907, proprio qui a Castelgrande, nasceva Plinio Verda. Noi tutti abbiamo avuto modo di conoscerlo: i più fortunati, di persona; altri tramite la sua arguta penna, quando, dalle colonne de “Il Dovere”, di cui è stato direttore per anni, “p.v.” lanciava le sue tanto attese, quanto temute istantanee, che non risparmiavano nessuno: ricordate le battaglie con Darani, direttore all’epoca del Popolo e libertà, e con quello che egli ha sempre e solo indicato, con feroce ironia, “piccola emme”? Oltre che quale polemista, tutti hanno apprezzato Plinio Verda anche come politico: accorto, disinteressato e disincantato, carismatico, seppure (o forse per questo) poco incline alle luci della ribalta. Difensore convinto delle libertà civili e politiche contro qualsiasi tentativo di prevaricazione, Verda fu pure strenuo sostenitore della laicità di uno Stato, aperto alle novità ma fondato sulla solidarietà e la giustizia. Custode e garante di una politica seria e concreta, egli combatté con determinazione contro le sirene del populismo di destra e delle utopie di sinistra. Valori che hanno sempre contraddistinto l’attività di Plinio Verda quale Consigliere comunale e Municipale della sua amata Bellinzona, deputato al Gran Consiglio e segretario, per decenni, del PLR cantonale. A Plinio Verda si riconosce pure il merito -e la cosa non deve stupire- di essere stato fra gli artefici, insieme a Libero Olgiati, della riunificazione del Partito liberale radicale ticinese, avvenuta nel 1946. Liberali e democratici, così erano chiamati i due partiti durante la scissione, tornarono finalmente a camminare insieme. Dico questo non solo per la storia, ma quasi a esorcizzare quei lugubri scenari che, oggi, sembrano addensarsi sulle nostre teste e che non oso nemmeno nominare.

E’ in memoria di Plinio Verda che lo scorso 12 giugno 2007, grazie ad una illuminata idea di Pier Felice Barchi, è stata costituita un’associazione che porta il nome di questo grande politico e giornalista ticinese: il “Club Plinio Verda”, appunto. Il suo scopo – tanto impegnativo, quanto accattivante- è quello di “tenere vivo, difendere e promuovere lo spirito critico e laico della cultura illuminista”. Uno spirito che permise all’Europa del Settecento di vivere notevoli cambiamenti culturali e politici, caratterizzati, fra l’altro, dall’esaltazione di idee laiche e di principi -difficili e bellissimi- quali la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, i diritti umani, la scienza, il pensiero razionale, l’autonomia del potere politico e la laicità dello Stato. Idee che -come sappiamo- favorirono la Rivoluzione americana e quella francese, influenzarono in modo significativo la rivoluzione industriale e la stessa stesura di costituzioni quali quella statunitense e di alcuni Stati europei, Svizzera compresa.

Uno spirito critico e laico che diventerà in seguito parte integrante e fondamentale della metodologia liberale che Piero Gobetti (giornalista, politico e antifascista italiano vissuto agli inizi del XX secolo) descriverà come “la più ripugnante ai dogmi e alle semplificazioni astratte e alle cieche fiducie”, aggiungendo come “la teoria liberale non abbia mai dimenticato che l’attitudine prima dell’uomo di partito sarebbe quella di sapersi fermare al momento giusto, prima di decidere: la virtù del dubbio e della sospensione del giudizio, la capacità di dar ragione all’avversario è la miglior preparazione all’intransigenza e all’intolleranza operosa” (rimando al proposito al suo saggio “La rivoluzione liberale. Critica liberale”, edito nel 1924).

Alcuni stupiranno udendo questo riferimento a un passo di Gobetti che potrebbe sembrare contraddittorio con l’attività di polemista da tutti riconosciuta a Plinio Verda. Non è così. Il rispetto dell’avversario, la tolleranza nell’ascoltarne le tesi, non significa certo remissione nel difendere le proprie. Insomma, è certo possibile propugnare vivacemente i propri pensieri, anche polemicamente, senza per questo negare a chiunque il diritto di fare altrettanto.

Oggi questa tolleranza e questo stesso spirito critico sembrano essersi sopiti in una società povera di ideali e di valori. La politica sembra scadere sempre più a semplice amministrazione della cosa pubblica, in cui si tende a prediligere il pragmatismo rispetto agli slanci ideali e a una visione del futuro fondata sulle idee e, perché no?, condita pure con qualche elettrizzante utopia. Siamo testimoni di un periodo in cui il confronto di opinioni è sempre meno sereno e di rado genera idee genuine e nuovi impulsi. I concetti fondamentali di fraternità, tolleranza e rispetto del prossimo e delle sue idee sembrano cose ormai da buttare all’insegna di un sempre minor senso dello Stato e della stessa collettività.

Il presidente del “Club Plinio Verda”, Carlo Pedrolini

Il “Club Plinio Verda” vuole fornire il proprio modesto contributo a che si torni a parlare di idee e di ideali, organizzando eventi in cui si confrontino e si sintetizzino opinioni anche diverse. Il club, di cui ho l’onore di essere presidente, è aperto a tutti, a dispetto di quel “club” che potrebbe lasciare intendere – a torto – intendimenti elitari. Diventare nostri soci è facile: basta annunciarsi al sottoscritto, oppure ad uno dei membri di comitato direttivo, persone che credono fermamente nei valori propugnati da Plinio Verda: Franca Verda Hunziker, figlia di Plinio, Pier Felice Barchi, Simone Bionda, Enrico Diener, Giovanni Molo e Antonio Spadafora. L’evento di questa sera è il primo, ci auguriamo, di una lunga serie, che il club organizzerà a favore dei suoi soci e di tutti coloro che hanno a cuore i principi e i valori in cui si riconosceva Plinio Verda.Sarà in primo luogo di lui che parleremo quest’oggi, del suo stile di uomo, giornalista e politico, a 100 anni dalla sua nascita. Relatore principale sarà Sergio Salvioni. Chiuderà la serata Pier Felice Barchi. A entrambi vanno i miei ringraziamenti per la preziosa disponibilità.

Pier Felice Barchi, Sergio Salvioni e il comitato del “Club Plinio Verda”

Mi si permetta infine di ringraziare pure tutti coloro che, con contributi in danaro o in natura, hanno reso possibile l’organizzazione e la riuscita di questa serata. In particolare il Comune di Bellinzona, il suo valido Ufficio tecnico e quello della Cultura, il Municipio di Bissone, di cui Plinio Verda era originario, la Sezione PLR di Bellinzona, La Regione Ticino, il Patriziato della città e il pittore Enea Tallone, che ha gentilmente relegato le sue opere alle pareti, per permetterci di essere qui stasera, la segreteria del Partito liberale radicale ticinese, il Circolo di cultura della città di Bellinzona e per esso Ellade Bomio, la Bottega del Pianoforte di Lugano, la Cantina del Cavaliere di Contone, l’amico Antonio Tabet, che ha curato e creato il logo del club e Eugen Hunziker, marito di Franca Verda, che ha allestito la pagina web dell’associazione. (visitatela su www.plinioverda.ch). Un grazie sentito va pure a Silvan Zingg, valido artista e musicista, che ci accompagnerà per tutta la serata, e ai miei colleghi di comitato direttivo, che, ve lo assicuro, hanno lavorato sodo.  Vi ringrazio per la vostra presenza e vi auguro un’ottima serata!

Carlo Pedrolini, Presidente del Club Plinio Verda


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“In ricordo di Plinio Verda” – di Argante Righetti

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La straordinaria intensità del suo impegno è riassunta in questi dati: direttore del quotidiano ‘ Il Dovere’ per 35 anni, dal 1940 al 1975; segretario cantonale del Partito liberale radicale per 37 anni, dal 1946 fino alla morte; deputato al Gran Consiglio per 40 anni, dal 1939 al 1979. Egli ha avuto grandi meriti nell’opera di ricostruzione dell’unità del partito liberale radicale ticinese, dopo la drammatica lacerazione del 1934 e le successive gravi tensioni. L’accordo di fusione tra liberali e democratici – quella la denominazione corrente dei due partiti nel periodo della scissione – è stato ratificato dal congresso unificato svoltosi a Bellinzona il 7 luglio 1946.

Egli ha avuto grandi meriti anche nelle scelte programmatiche e strategiche del ricomposto partito. Ha capito la necessità di dare spazio alle istanze radicali che nel 1934 non erano state intese o lo erano state insufficiente-mente: la difesa delle libertà civili e politiche contro ogni deviazione; la difesa della laicità contro ogni tentativo di restaurazione confessionale; l’apertura sociale a nuove forme di solidarietà e di giustizia.È stato così adottato un programma progressista. Ha capito pure la necessità di creare una maggioranza politica per realizzare il  programma. È nata l’alleanza di sinistra tra il partito liberale radicale e il partito socialista.

Plinio Verda fotografato nel 1978 a San Bernardino

Nel 1950 Libero Olgiati è diventato presidente del partito liberale radicale ticinese. Per 18 anni, dal 1950 al 1968, con soltanto una breve interruzione per Libero Olgiati, questi come presidente e Plinio Verda come segretario hanno dettato il corso del partito. L’alleanza di sinistra è durata 20 anni, dal 1947 al 1967.È stata una stagione politica memorabile, di grandi riforme, di grandi trasformazioni politiche, economiche e sociali. Il giornale ‘ Il Dovere’ è stato lo strumento primo dell’azione politica di Plinio Verda. Ha condotto vigorose campagne con notevoli effetti. Basti qui ricordare l’impegno per le elezioni cantonali del 1947, le prime del dopoguerra; l’impegno per la legge tributaria, accolta in votazione popolare nel 1950; la battaglia per ottenere l’assunzione da parte del Cantone della gestione delle acque con il riscatto dell’impianto idroelettrico della Biaschina e la costituzione dell’Azienda elettrica ticinese nel 1958; la battaglia per la costruzione della galleria stradale del San Gottardo; la lotta contro i tentativi per imporre i pedaggi sulle gallerie stradali alpine; la difesa intransigente della laicità e della scuola pubblica.

Plinio Verda è stato fermissimo nella denuncia di ogni comportamento politico inaccettabile dal profilo etico, nella difesa del principio della concordanza tra azione politica e valori morali. Mai ha tratto vantaggio personale dal suo impegno politico. La manifestazione del 28 settembre sarà un giusto riconoscimento per un’azione politica qualificata a favore del Ticino.

Argante Righetti   (La Regione, 25.09.2007)


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“L’eredità di Plinio Verda” – di Enrico Diener

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Plinio Verda, direttore ed editorialista del giornale “Il Dovere” dagli anni Quaranta alla vigilia degli anni Ottanta, ha saputo dare ai suoi lettori – praticamente la quasi totalità dei sopracenerini, perché chiunque, allora, dava una sbirciata ai suoi “fondi” e alle sue “istantanee” – una chiave di lettura degli avvenimenti politici ticinesi e confederati per quarant’anni. Che cosa vuol dire, questo? Vuol dire che anche allora, come oggi, capitavano cose poco ortodosse. Decisioni discutibili, appalti compiacenti, lentezze burocratiche, ottusità politiche e sociali, palesi ingiustizie, eccessivi dislivelli di categorie, di caste, e così via. Né più né meno di quel che capita oggi nelle nostre contrade: tutto il mondo è paese. Ebbene: p.v., cioé l’editorialista e l’elzevirista Plinio Verda, dalla sigla minuscola che ognuno sapeva riconoscere, in Ticino, anche i bambini, non solo denunciava palesemente, senza eufemismi, questi fatti, quando ne veniva a conoscenza e ne aveva le prove, ma soprattutto offriva al lettore una chiave per leggerli, per inserirli nel contesto attuale del tempo.

La prima pagina del “Dovere” era insomma, più che un giornale, un diario di bordo. Leggendola ognuno sapeva a che punto della rotta si trovava la nave, con i dati di latitudine, di longitudine, delle correnti, dei venti e tutto quanto. Compresa, ovviamente, la vita di bordo. Plinio Verda, direttore ed editorialista del giornale “Il Dovere” dagli anni Quaranta alla vigilia degli anni Ottanta, ha saputo dare ai suoi lettori – praticamente la quasi totalità dei sopracenerini, perché chiunque, allora, dava una sbirciata ai suoi “fondi” e alle sue “istantanee” – una chiave di lettura degli avvenimenti politici ticinesi e confederati per quarant’anni. Che cosa vuol dire, questo? Vuol dire che anche allora, come oggi, capitavano cose poco ortodosse. Decisioni discutibili, appalti compiacenti, lentezze burocratiche, ottusità politiche e sociali, palesi ingiustizie, eccessivi dislivelli di categorie, di caste, e così via. Né più né meno di quel che capita oggi nelle nostre contrade: tutto il mondo è paese. Ebbene: p.v., cioé l’editorialista e l’elzevirista Plinio Verda, dalla sigla minuscola che ognuno sapeva riconoscere, in Ticino, anche i bambini, non solo denunciava palesemente, senza eufemismi, questi fatti, quando ne veniva a conoscenza e ne aveva le prove, ma soprattutto offriva al lettore una chiave per leggerli, per inserirli nel contesto attuale del tempo. La prima pagina del “Dovere” era insomma, più che un giornale, un diario di bordo. Leggendola ognuno sapeva a che punto della rotta si trovava la nave, con i dati di latitudine, di longitudine, delle correnti, dei venti e tutto quanto. Compresa, ovviamente, la vita di bordo.

Il suo successore Giuseppe Buffi era per indole rivolto al futuro, piuttosto che al presente. Sapeva indicare la rotta da prendere, i mari da conquistare, piuttosto che le secche sotto la chiglia da superare. Mancò dunque ai Ticinesi la cartina di tornasole per la misura del presente.

Ci fu qualcuno che riempì questa lacuna? Purtroppo sì. Lo dico ormai senza acredine e senza rimpianti. Troppi anni sono passati. Il primo giornale che prese il posto di Plinio Verda come cartina di tornasole della realtà ticinese e della lettura della realtà confederata in chiave ticinese fu “Politica Nuova”, il settimanale del Partito Socialista Autonomo, settimanale diretto da Carla Agustoni, prematuramente scomparsa in questi giorni. Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta “Politica Nuova” aiutò la gente a leggere gli avvenimenti ticinesi nella chiave, ovviamente, della contestazione, dell’opposizione al regime. Ma la chiave di lettura c’era, eccome. Tant’è vero che quasi tutti i ticinesi residenti oltre San Gottardo si affidavano a “Politica Nuova” per capire quel che risultava incomprensibile, fuori dal contesto vissuto, sugli altri giornali. Segno che anche l’inchiostro della penna “Mont Blanc” di Plinio Verda cominciava ad affievolirsi.

Morta anche “Politica Nuova”, morta d’integrazione nel regime che contestava fin dalla nascita, chi afferrò la cartina di tornasole? Purtroppo il Nano Bignasca e il suo “Mattino della Domenica”. La cartina era ormai logora e in quelle mani si logorò ancora di più, ma nessuno può negare in buonafede che fu lui ad afferrarla.

E infatti Bignasca cavalcò – maldestramente, ma li cavalcò – molti dei cavalli di razza che furono di Plinio Verda. Basti citare la denuncia dell’ingombrante e paralizzante burocrazia (i “burosauri”, come li chiamava p.v.). Basti ricordare l’affollamento attorno alle fonti dei sussidi e degli appalti (le “greppie”, diceva p.v.). Per arrivare fino al parassitismo dei contadini di pianura (i “baroni del latte”) e fino all’ottusità della maggioranza teutofona svizzera. Tutto questo e molto altro aveva denunciato Plinio Verda e tutto ridenunciò il Bignasca vent’anni dopo.

Ma con una differenza, con una grossa differenza. Plinio Verda denunciava le magagne della politica cantonale e della politica federale perché le amava, le due politiche. Le redarguiva, le rimproverava come un padre rimprovera i figli. Perché le voleva migliori, le voleva perfette. Era legittimo, volerle migliori, perfette. Era legittimo soprattutto per lui, per Plinio Verda, che alla missione del giornalismo aveva sacrificato tutto il resto: una brillante carriera giuridica e politica (sarebbe potuto diventare un ottimo Consigliere di Stato e anche molto di più), una maggiore vicinanza alla famiglia che adorava (il suo lavoro lo impegnava tutte le sere e tutte le notti), le amicizie (che pur coltivava con dedizione, ma che avrebbe voluto coltivare ancora di più). Insomma: Verda criticava legittimamente per amore e con amore. Bignasca invece non so se criticasse e critichi con odio, ma so che ha suscitato, suscita e fomenta l’odio, l’avversione nei confronti della politica cantonale e federale. Quindi ha stravolto quella che poteva essere una sana e proficua eredità di critica. Il paragone è irriverente, lo so. Plinio Verda era un uomo onesto, verso se stesso prima che verso gli altri. Era schietto, sincero, trasparente, fedele fino in fondo. Bignasca è l’esatto contrario. Ma nell’intercapedine fra i due, in questa breve stagione dell’editoria politica ticinese, c’è il vuoto più assoluto. Il vacuum.

Enrico Diener   (Corriere del Ticino, 21.09.2007)