“L’eredità di Plinio Verda” – di Enrico Diener

Plinio Verda, direttore ed editorialista del giornale “Il Dovere” dagli anni Quaranta alla vigilia degli anni Ottanta, ha saputo dare ai suoi lettori – praticamente la quasi totalità dei sopracenerini, perché chiunque, allora, dava una sbirciata ai suoi “fondi” e alle sue “istantanee” – una chiave di lettura degli avvenimenti politici ticinesi e confederati per quarant’anni. Che cosa vuol dire, questo? Vuol dire che anche allora, come oggi, capitavano cose poco ortodosse. Decisioni discutibili, appalti compiacenti, lentezze burocratiche, ottusità politiche e sociali, palesi ingiustizie, eccessivi dislivelli di categorie, di caste, e così via. Né più né meno di quel che capita oggi nelle nostre contrade: tutto il mondo è paese. Ebbene: p.v., cioé l’editorialista e l’elzevirista Plinio Verda, dalla sigla minuscola che ognuno sapeva riconoscere, in Ticino, anche i bambini, non solo denunciava palesemente, senza eufemismi, questi fatti, quando ne veniva a conoscenza e ne aveva le prove, ma soprattutto offriva al lettore una chiave per leggerli, per inserirli nel contesto attuale del tempo.

La prima pagina del “Dovere” era insomma, più che un giornale, un diario di bordo. Leggendola ognuno sapeva a che punto della rotta si trovava la nave, con i dati di latitudine, di longitudine, delle correnti, dei venti e tutto quanto. Compresa, ovviamente, la vita di bordo. Plinio Verda, direttore ed editorialista del giornale “Il Dovere” dagli anni Quaranta alla vigilia degli anni Ottanta, ha saputo dare ai suoi lettori – praticamente la quasi totalità dei sopracenerini, perché chiunque, allora, dava una sbirciata ai suoi “fondi” e alle sue “istantanee” – una chiave di lettura degli avvenimenti politici ticinesi e confederati per quarant’anni. Che cosa vuol dire, questo? Vuol dire che anche allora, come oggi, capitavano cose poco ortodosse. Decisioni discutibili, appalti compiacenti, lentezze burocratiche, ottusità politiche e sociali, palesi ingiustizie, eccessivi dislivelli di categorie, di caste, e così via. Né più né meno di quel che capita oggi nelle nostre contrade: tutto il mondo è paese. Ebbene: p.v., cioé l’editorialista e l’elzevirista Plinio Verda, dalla sigla minuscola che ognuno sapeva riconoscere, in Ticino, anche i bambini, non solo denunciava palesemente, senza eufemismi, questi fatti, quando ne veniva a conoscenza e ne aveva le prove, ma soprattutto offriva al lettore una chiave per leggerli, per inserirli nel contesto attuale del tempo. La prima pagina del “Dovere” era insomma, più che un giornale, un diario di bordo. Leggendola ognuno sapeva a che punto della rotta si trovava la nave, con i dati di latitudine, di longitudine, delle correnti, dei venti e tutto quanto. Compresa, ovviamente, la vita di bordo.

Il suo successore Giuseppe Buffi era per indole rivolto al futuro, piuttosto che al presente. Sapeva indicare la rotta da prendere, i mari da conquistare, piuttosto che le secche sotto la chiglia da superare. Mancò dunque ai Ticinesi la cartina di tornasole per la misura del presente.

Ci fu qualcuno che riempì questa lacuna? Purtroppo sì. Lo dico ormai senza acredine e senza rimpianti. Troppi anni sono passati. Il primo giornale che prese il posto di Plinio Verda come cartina di tornasole della realtà ticinese e della lettura della realtà confederata in chiave ticinese fu “Politica Nuova”, il settimanale del Partito Socialista Autonomo, settimanale diretto da Carla Agustoni, prematuramente scomparsa in questi giorni. Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta “Politica Nuova” aiutò la gente a leggere gli avvenimenti ticinesi nella chiave, ovviamente, della contestazione, dell’opposizione al regime. Ma la chiave di lettura c’era, eccome. Tant’è vero che quasi tutti i ticinesi residenti oltre San Gottardo si affidavano a “Politica Nuova” per capire quel che risultava incomprensibile, fuori dal contesto vissuto, sugli altri giornali. Segno che anche l’inchiostro della penna “Mont Blanc” di Plinio Verda cominciava ad affievolirsi.

Morta anche “Politica Nuova”, morta d’integrazione nel regime che contestava fin dalla nascita, chi afferrò la cartina di tornasole? Purtroppo il Nano Bignasca e il suo “Mattino della Domenica”. La cartina era ormai logora e in quelle mani si logorò ancora di più, ma nessuno può negare in buonafede che fu lui ad afferrarla.

E infatti Bignasca cavalcò – maldestramente, ma li cavalcò – molti dei cavalli di razza che furono di Plinio Verda. Basti citare la denuncia dell’ingombrante e paralizzante burocrazia (i “burosauri”, come li chiamava p.v.). Basti ricordare l’affollamento attorno alle fonti dei sussidi e degli appalti (le “greppie”, diceva p.v.). Per arrivare fino al parassitismo dei contadini di pianura (i “baroni del latte”) e fino all’ottusità della maggioranza teutofona svizzera. Tutto questo e molto altro aveva denunciato Plinio Verda e tutto ridenunciò il Bignasca vent’anni dopo.

Ma con una differenza, con una grossa differenza. Plinio Verda denunciava le magagne della politica cantonale e della politica federale perché le amava, le due politiche. Le redarguiva, le rimproverava come un padre rimprovera i figli. Perché le voleva migliori, le voleva perfette. Era legittimo, volerle migliori, perfette. Era legittimo soprattutto per lui, per Plinio Verda, che alla missione del giornalismo aveva sacrificato tutto il resto: una brillante carriera giuridica e politica (sarebbe potuto diventare un ottimo Consigliere di Stato e anche molto di più), una maggiore vicinanza alla famiglia che adorava (il suo lavoro lo impegnava tutte le sere e tutte le notti), le amicizie (che pur coltivava con dedizione, ma che avrebbe voluto coltivare ancora di più). Insomma: Verda criticava legittimamente per amore e con amore. Bignasca invece non so se criticasse e critichi con odio, ma so che ha suscitato, suscita e fomenta l’odio, l’avversione nei confronti della politica cantonale e federale. Quindi ha stravolto quella che poteva essere una sana e proficua eredità di critica. Il paragone è irriverente, lo so. Plinio Verda era un uomo onesto, verso se stesso prima che verso gli altri. Era schietto, sincero, trasparente, fedele fino in fondo. Bignasca è l’esatto contrario. Ma nell’intercapedine fra i due, in questa breve stagione dell’editoria politica ticinese, c’è il vuoto più assoluto. Il vacuum.

Enrico Diener   (Corriere del Ticino, 21.09.2007)

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