“L’eredità di Plinio Verda” – di Pier Felice Barchi

Illustrare i tratti salienti di una personalità forte ed eclettica come quella di Plinio Verda non è facile. In poche righe non si può dir tutto. Si corre così il rischio di dimenticare anche qualche sua significativa qualità. Quale è stato il Verda più importante? Il giornalista e polemista? O invece l’accorto stratega, che per 30 anni ha tirato i fili della politica del partito liberale radicale ticinese? Oppure il politico di grande fiuto, che in quel lungo periodo ha avuto un peso determinante nelle scelte di natura personale? In quelle – intendo dire – a livello di istituzioni del partito e di poteri pubblici. È assai difficile dire quale sia, di Verda, la qualità più meritevole di essere rievocata. Egli è infatti stato un “unicum”, in tutti i sensi. Non è possibile immaginare il Verda tessitore di strategie politiche, senza che egli fosse contemporaneamente il temuto polemista che con le sue istantanee, pubblicate regolarmente su Il Dovere, commentava i fatti del giorno, non di rado al vetriolo. Soprattutto quando bastonava chi aveva commesso scorrettezze. I lettori de Il Dovere – di ogni estrazione politica – prima di sedersi il mattino davanti alla scrivania non mancavano di dare un’occhiata all’istantanea del giorno. A Verda non sfuggiva nulla.

Ad un appuntamento politico nel 1963 con Franco Zorzi, Plinio Cioccari, Pierino Tatti e Argante Righetti

Scoprendo che il capo del Dipartimento militare nel far costruire  da privati la caserma di Tesserete aveva fatto ricorso a un architetto suo parente, Verda non lo risparmiava. Anzi, trattandosi di un liberale, rincarava la dose. Sua preoccupazione era quella di difendere l’interesse pubblico, laddove all’interno delle istituzioni statali o della società civile vi era gente che gestisse il potere in funzione di interessi particolari e della proverbiale greppia. Quel che ha distinto Verda dagli altri politici e giornalisti, che hanno perseguito gli stessi obiettivi, è che egli ne ha fatto un costume di vita. Ai tempi del riscatto delle acque della Biaschina fu avvicinato dall’Aar & Ticino, perché entrasse nel Consiglio d’amministrazione. L’operazione di neutralizzare l’uomo più forte, più battagliero e più indipendente sarebbe magari stata pagante. Analogamente egli rifiutò di far parte di altri Consigli di amministrazione, compresi segnatamente quelli di aziende del settore dell’edilizia: in un periodo storico in cui molte aziende si preoccupavano di assicurarsi qualche politico come protettore. Tra la “megeneration”è oggi di moda che il richiamo a principi etici susciti sorrisetti e venga banalizzato come un moralismo ipocrita. Mi attendo perciò l’obiezione: “ma bastano veramente le qualità di fustigatore per fare di un giornalista (e politico) locale un grande uomo?” Non intendo aprire un dibattito sul moralismo. Mi limito a mettere, con riguardo alla personalità di Verda, i “puntini sulle i”. Innanzitutto, pur essendo un giornalista di provincia, egli fu un vero genio della penna. Mi capitò di assistere nel suo ufficio alla “produzione” di sue istantanee. Tutto currenti calamo, senza un’esitazione, senza una sola correzione. Ed in più uno stile dei più piacevoli, più che rispettoso della sintassi e accompagnato da una grande ricchezza lessicale. Ciò che fece principalmente di Verda un grande uomo politico è che egli come deputato e segretario del PLRT – con il suo carisma e l’entusiasmo che seppe trasmettere ai giovani, da lui sempre appoggiati – fu determinante nell’imprimere un indirizzo progressista e riformista alla politica ticinese. Fu il garante quotidiano di quella linea: il “guardiano” secondo il senso insito nel titolo del giornale inglese “The Guardian”. Senza di lui la nuova legge sulla scuola e quella tributaria, elaborate ddl Consigliere di Stato Brenno Galli, sarebbero state approvate a stento. Esse segnarono un taglio netto rispetto al Ticino profondamente conservatore che stava affrontando il difficile periodo del dopoguerra. Indirizzo progressista fondato su riforme praticabili, senza salti nel buio e senza rincorrere utopie. Svolte di quella natura non sono dovute al caso. Ma a protagonisti, a “leader” dotati di un dono basilare. Quello di trovare le soluzioni adeguate all’insegna del principio (bismarkiano) della Politik come die Kunst des Möglichen, accompagnato – come nel caso di Verda – da intuizioni tattiche eccezionali. In politica infatti non è sufficiente avere eccellenti idee e proporre buoni programmi. Si deve saper scegliere, all’interno di un movimento politico, le persone su cui fare affidamento per realizzare i progetti e – quanto ai rapporti esterni – quei partiti cui ci si possa accompagnare operativamente, senza perdere la propria identità. Verda ebbe la buona ventura di poter fare il suo cammino politico a fianco di Libero Olgiati, presidente del partito sino al 1968, una figura storica centrale del liberalismo degli anni postbellici.

Plinio Verda fu per altro un politico abnorme. La sua “unicità” si manifestò anche nel rinnegare le piccole ambizioni, le vanità, gli onori, gli atteggiamenti da prima donna, le debolezze insomma che sono tipiche dei politici. Per non parlare delle piaggerie, che addirittura lo irritavano. Gli si chiese più di una volta di candidarsi per il Consiglio Nazionale o come sindaco di Bellinzona. Nemmeno entrava nel merito. Egli fu per un certo verso una persona non facilmente perscrutabile. In lui sono convissuti due soggetti. Come agli eroi si contrappongono gli anti-eroi, al leader Verda si è contrapposto – nella stessa persona – un anti-leader. Da un lato vi è stato l’uomo con una profonda cultura umanistica – di cui mai fece sfoggio -, il giurista e il politico propenso a far trionfare law and order. Cioè il politico guardiano di uno Stato forte, che contrasta i tentativi di annientare il senso civico e della giustizia, finalizzati a dar spazio al populismo di destra o alle utopie di sinistra. Dall’altro lato abbiamo il suddito – l’anti-leader con uno spirito ribelle ed un pizzico di vocazione anarchica – che si risveglia, non appena una autorità di qualsiasi livello o natura sragioni e dia prova di inettitudine per non dire stupidità. Quando al termine di una appetitosa cena al grotto della Rocca Plinio Verda intonava enfants de la misère, nous sommes tous des rescapés, nous vengerons nos mères que les salauds ont exploitées, si sprigionava il monello anarchico. Il suo amico Fausto Cattaneo padrone delle ferriere di Giubiasco ammiccava divertito: si irritava solo un tantino, quando si giungeva alla strofa nous occuperons les usines. Incoerenze, contraddizioni, antinomie? No affatto. Quello di Verda fu un “vissuto” del tutto liberale. Un “vissuto”, ove non vi sono certezze e la costante ricerca della verità sollecita il politico – che non deve pensare di appartenere a una élite, ma sempre mettersi nei panni del quivis ex populo – a confrontarsi con gli estremi per poter trovare il giusto equilibrio.

Pier Felice Barchi   (Opinione Liberale, 20.09.2007)

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